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La lavagna - Gustappunti

Racconto: Il Marchese Eugene De Fréhel (by Rainman)

Rainman
Scritto il 30/10/2009
da Rainman
Avevo conosciuto il Marchese Eugene De Fréhel in un'umida e gelida serata autunnale, essendo stato invitato da amici comuni ad un gran ballo organizzato nella sua tenuta nobiliare.
Prima di allora, molte voci mi erano giunte circa il suo carattere schivo e solitario e la sua immensa e fornitissima cantina, ricavata da antiche catacombe del quarto secolo, che si snodavano sotterraneamente, si diceva, lungo buona parte del paese e della foresta circostante.
Quella sera mi ero abbigliato di tutto riguardo con un elegantissimo completo grigio, per non sfigurare, e già sulla carrozza, accanto al buon François (mio carissimo amico d'infanzia, nonchè enologo di grande fama) mi sentivo agitatissimo per l'imminente incontro col Nobiluomo.
Mentre i sinistri alberi scorrevano lenti accanto a noi, io e François discutevamo circa il Bon Ton, apprezzatissimo dal Marchese, che avrebbe sicuramente gradito anche l'umile omaggio che gli portavo, ovvero una scarlatta quanto pregiata bottiglia di Porto, invecchiato alla giusta annata per essere degustato con immenso piacere.
Finalmente la carrozza si fermò e potei rimirare, dietro alle grate semichiuse di una meravigliosa cancellata rinascimentale, un immenso giardino, attraversato da numerosissimi sentieri.
In realtà la parola "Giardino" non esprimerebbe al meglio la contemplativa magnificenza di quella florida natura, che si distendeva maestosissima, spuntando dalla tagliente foschia, come il delfino, nel suo salto, spunta dalle spumose acque dell'Oceano.
Dovemmo percorre a piedi quasi quattro miglia (guai a rovinare le piante con le brutali ruote del carro!), guidati dall'ormai esperto François, che ci condusse attraverso i labirintici tracciati, bofonchiando tra sè e sè per il freddo pungente.
Dopo aver vagato a lungo attraverso la romantica e decadente boscaglia, che si infittiva sempre più, giungemmo a destinazione.
Le acque di un placido lago, riflettevano i raggi della Luna Piena contro la facciata di un enorme edificio,che non faticherei in vero a definire "Castello".
Alle otto in punto, come indicava un enorme orologio sul portone, tirammo un cordone viola appeso ad una campanella, per annunciare il nostro arrivo.
Al settimo rintocco preciso, il Marchese in persona ci aprì la porta.
Era un uomo piuttosto basso e molto sorridente, avvolto in un raffinatissimo tabarro nero ricamato.Mi colpì come sembrasse in ottima salute: non un segno di vecchiaia e non un capello bianco macchiavano i suoi sessant'anni dichiarati di età, inoltre il suo colorito era molto abbronzato, e le labbra rosse come lamponi di bosco.
Ci squadrò brevemente con i suoi profondi occhi verdi e fece un riverente inchino, dandoci il benvenuto con un tono di voce molto aristocratico.
Dopo essermi presentato con il dovuto garbo ed avere offerto all'affascinante ospite il mio regalo, fui invitato con gentile insistenza a sedermi accanto a lui al banchetto, per poter discorrere amabilmente dei vini: nostra grande passione comune.
Anche François si unì a noi,all'angolo di un lunghissimo tavolo imbandito e pieno di "illustri" ospiti.
Mi stupii non poco dell'umiltà del Marchese, nella cui testa non balenò neppure per un attimo l'idea di mettersi capo tavola e monopolizzare l'attenzione degli ospiti.
Quel posto posto fu invece irrispettosamente occupato da uno di quei, perdonate l'ossimoro, volgari nobili, che non si curavano minimamente del Bon Ton, mangiando voracemente la copiosa cacciagione, ridendo grassamente per inutili facezie e prestando meno attenzione al Marchese, rispetto a ciò che offriva.
De Fréhel (così mi permisi di chiamarlo, forse prendendomi troppe confidenze) ci spiegò che il banchetto ed il ballo erano organizzati annualmente più per una antica consuetudine , risalente a molte generazioni addietro, che per una sua scelta, e che avrebbe senza dubbio preferito ricevere pochi intimi, o addirittura restare solo.
Ci distaccammo così dalla tavolata, senza neanche essere notati, e passammo molto tempo a visitare la ricchissima biblioteca di famiglia, e poi a parlare degli argomenti più vari in un saloncino riscaldato, sorseggiando il nostro Porto e lasciandoci alle spalle il brusio del ballo ormai iniziato.
Il fuocherello nel caminetto della stanza scoppiettava, e la bottiglia volgeva al termine, quando finalmente il Marchese lanciò una proposta che attendevo segretamente da tutta la serata: "Miei cari", disse,"non sia mai detto che Eugene De Fréhel lascia i suoi più affezionati amici a morire di sete! La notte è giovane: vi propongo una passeggiata nelle mie cantine!".
Le gote del Marchese esprimevano una sincera gioia, ed il barlume del fuoco rossastro risplendeva negli occhi trepidanti di François, così come probabilmente nei miei.
Sapevamo che De Fréhel non permetteva a nessuno di visitare le sue cantine, avvolte da una esoterica aura di mistero.
Egli ci guidò lungo delle tortuose scale, e giungemmo ad un ingresso circolare scavato nel tufo.
Quando François sollevò la torcia, rimasi completamente incantato di fronte allo spettacolo di una miriade infinita di gallerie, e non stentai a credere, quando il Marchese me lo disse, che esse si estendevano ben più lontano di quanto suggerivano le dicerie paesane, fino a giungere al Mare.
Ci aggirammo nell'umido labirinto sotterraneo per un tempo che non saprei definire, così come non saprei dire se fu più grande lo stupore per l'interminabile serie di bottiglie (dinnanzi ad ognuna delle quali il mio pur ottimo Porto sfigurava totalmente), o per l'immensità di quel luogo.
De Fréhel, il nostro nobile e bacchico Cicerone, ci condusse con maestria lungo molte cripte, e stappammo varie bottiglie durante il nostro percorso, levando in alto i calici alla vendemmia, ai buoni amici e al più sincero tra essi ( il vino, ovviamente).
Ritornammo sui nostri passi a tarda notte e posso affermare, sempre basandomi sull'orologio di casa De Frèhel, che uscimmo dalla dimora alle sei precise del mattino.
A quel punto il nostro ospite dimostrò un grandissimo garbo, offrendoci un letto per riposare dopo la notte insonne, ma io fui costretto a declinare l'invito, in quanto l'indomani sarei dovuto partire per un viaggio d'affari di una settimana a Tolosa.
Il caro François invece accettò di buon grado la proposta del nobiluomo,così mi congedai dai due, ripromettendomi di ritornare a trovare il Marchese, per una certa bottiglia di Chablis di cui avevamo parlato.
La settimana a Tolosa passò velocemente, e tornai al paese con un grandissimo entusiasmo e con ancora ben impresso il ricordo della magnifica serata alla tenuta.Non appena entrai nella mia abitazione, mi cambiai velocemente i vestiti da viaggio ed indossai un abito da passeggio beige, intento ad andare a trovare il caro François e magari bere un the assieme al Cafè Grand, tirando i bilanci della settimana appena trascorsa.
Dopo una breve passeggiata, giunsi alla Rue Mablet, dove l'amico risiedeva, all'ultimo piano di un pittoresco palazzo colorato.
Bussai alla porta con enfasi (oh, quanto avevo da raccontargli circa i vini che avevo conosciuto nelle cantine di Tolosa!), ma mi stupii non poco quando sentii, in tutta risposta, un latrare canino, che proveniva dall'interno dell'appartamento (François provava una repulsione alle soglie della fobia nei confronti di queste bestie), e di certo rimasi ancor più sgomento quando una donna di mezza età aprì la porta con sdegno profondo.
Le chiesi dove fosse il mio amico, e lei mi rispose che aveva mandato una lettera da Barcellona, per avvisare che si era trasferito, e che l'appartamento di Rue Mablet poteva essere svuotato.
Totalmente diffidente, le domandai di vedere quella missiva, ma lei disse di averla usata per alimentare il fuoco del suo camino.
Ero ancora attonito ed incredulo, così bussai a tutte le porte dell'edificio, per avere maggiori informazioni da altre persone, ma nessuno mi seppe dare notizie dell' amico.
Non potevo assolutamente credere che se ne fosse andato per sempre senza dirmi niente, non contando poi che stava redigendo un libro sui vitigni della Francia, e che quindi la Spagna non aveva nulla da offrire a questa sua ricerca.
Dopo qualche giorno di silenziosa apprensione, decisi di rivolgermi al Marchese, per conoscere il suo sicuramente più saggio punto di vista.
Arrivai alla mansione "De Fréhel" all'imbrunire di una sera di Febbraio, ed egli mi accolse con tutti gli onori del caso, andando subito a stappare quella bottiglia di Chablis che ci eravamo ripromessi.
Ci sedemmo in un ampio salotto barocco e parlammo della faccenda: appresi che François aveva deciso di restare per qualche mese a Barcellona, per studiare a fondo i Vini Spagnoli, e che era partito lo stesso giorno in cui io avevo lasciato la città , diretto a Tolosa.
Questo fatto mi sembrò completamente assurdo, in quanto non era nel carattere dell'enologo lasciare cose incompiute(specialmente se si tratta di manuali impazientemente attesi da tutti gli esperti della Società Vinicola Francese), senza contare poi che più di una volta lo avevo sentito definire i vini spagnoli "Brodaglie" e la Spagna stessa "Orribile luogo rovente".
I miei dubbi furono però annegati nello Chablis e nelle accomodanti e gentilissime maniere del Marchese.
Egli mi tempestò di inviti per i giorni seguenti, tanto che passai le mattine di un intera settimana a svolgere le attività più varie con lui: pesca alla trota, lettura e dibattito sui grandi tragediografi greci, escursioni nel bosco e soprattutto interminabili visite alle gigantesche cantine, che mi trasmettevano un fascino sempre maggiore.
La profonda voce baritonale, l'aspetto sempre curato, l'immensa cultura e soprattutto la cantina piena di storia di quell'uomo, mi avevano ammaliato, tanto che iniziai a rivolgermi al suo sarto di fiducia e ad assumere abitudini più aristocratiche di quanto non prevedesse il mio carattere.
De Fréhel era un esempio vivente di umanità e aveva sicuramente moltissimo da offrirmi.
Nonostante fossi, perdonate il termine, un "Plebeo" in confronto a lui (almeno a livello pecuniario),egli non mi faceva affatto pesare la cosa: sembrava anzi dotato di una grande umiltà caratteriale, sintomo di una notevole intelligenza e "Savoir Vivre".
Era per altro un galant'uomo anche a tavola, dove non lo vedevo mangiare che semplici verdure coltivate in qualche angolo del suo immenso giardino.Nonostante queste abitudini alimentari semplicissime, aveva una salute di ferro, tanto che, mi ripeto, dimostrava poco più della metà dei suoi sessant'anni.
Una sera, credo fosse un venerdì, rimasi a soggiornare nella stanza degli ospiti del castello, dopo una battuta pomeridiana di caccia alle quaglie che aveva fruttato notevoli risultati.Il Marchese si era detto stanco ed inappetente (da qualche giorno si nutriva ancor più esiguamente del solito) e mi aveva lasciato a godere da solo dei frutti della nostra caccia, scusandosi per l'indisposizione e ritirandosi educatamente nelle sue stanze.
Consumata la cena, feci per andare nella camera da letto, dove già il mio bagaglio era pronto per la partenza dell'indomani mattina a Bordeaux, per un'asta di vini.
"Feci per", dico, ma non feci: quando infatti vidi l'orgogliosa fiamma di una torcia, appesa proprio alla sommità delle scale per la cantina, sentii un fortissimo ed irresistibile magnetismo verso di esse.
Premetto che sono sempre stato un uomo rispettoso, onesto e molto preciso, tanto che i miei genitori avrebbero potuto tranquillamente dire che non avevo mai commesso errori in gioventù, nè tantomeno mi ero cacciato in situazioni ambigue o pericolose, creando loro imbarazzo o dispiacere.
Un brivido perverso e compiaciuto corse tuttavia lungo la mia schiena ed un infantile sorriso apparve sul mio volto, al pensiero della piccola ma irrispettosa infrazione che stavo per compiere.
Forse il Marchese si sarebbe arrabbiato o non mi avrebbe mai più accolto nella sua dimora, ma il semplice pensiero di passeggiare da solo lungo quelle cantine e servirmi liberamente dei suoi vini più antichi, quasi come un ladro, mi donava un deviato piacere di onnipotenza.Il sapore del pericolo di essere sorpresi,inoltre, condiva egregiamente il ricco piatto di questa stupida azione.
Mi avvicinai in punta di piedi alla porta della stanza da letto del Marchese, per constatare se stesse dormendo, ed il rumore del suo profondo respiro mi convinse che avrei potuto agire indisturbato.
Scesi con molta cautela i ripidissimi scalini, fino a giungere davanti all'ingresso delle cripte.
Ignorai il pungente freddo ed il forte odore di terra e muffa, e mi misi in cammino verso l'ala dei Vini Italiani, intento a favorire della bottiglia più pregiata di quei rossi ancestrali, e a farlo in maniera del tutto dissacrante, alle spalle di chi mi aveva regalato preziosi momenti di amicizia.
Giunsi dopo poco al tenebroso spiazzo che tanto mi interessava.
Per accedere alla stanza, che si trovava qualche metro sotto terra, avrei dovuto alzare una piccola botola di ferro e scendere una lunga scala a pioli di legno.Ancora una volta, compiendo queste azioni, provai una morbosa ed intensissima sensazione di potere e ansia, quasi come se fossi il proprietario della casa, ma al contempo un subdolo intruso.
Effettivamente stavo agendo contro un mio caro amico e, cosa veramente non da me, lo stavo facendo per il puro piacere di trasgredire.
Feci qualche passo sul pavimento di Tufo e rimasi a contemplare le meravigliose bottiglie sullo scaffale di legno.
Non potevo più tornare indietro:avevo quasi del tutto compiuto la mia vile ed infame azione.
Non stavo riposando le stanche membra sotto alle comode e calde coperte di lana offerte dal mio magnanimo ospite, ma approfittavo della sua bontà in una profonda grotta "Lungi dal Sole", volendo citare la Dickinson.
Agganciai la torcia ad un sostegno nel muro e toccai, con i polpastrelli ormai gelidi ed insensibili, la bottiglia più rara e pregiata dell'intera collezione di De Féhrel.
Tolsi l'antico tappo di sughero ed un breve e profumato vapore uscì dal collo di vetro; poi appoggiai la fiasca alla bocca ed iniziai a bere, provando ad ogni sorso lo stesso piacere che sente l'atleta, rinfrancandosi con ampi sorsi di acqua gelida dopo un lungo e faticoso allenamento.
Improvvisamente un rumore severo e metallico turbò la mia quiete.
Feci per scrutare in direzione del suono, quand'ecco che vidi per terra un oggetto lucente.
Mi misi in ginocchio a raccoglierlo, mentre velocemente il piacere si trasformava in angoscia: quello che ora stringevo nelle mie mani, bagnate di un freddo e mortifero sudore, era il braccialetto favorito del buon François, che sempre portava con sè, e che avevo visto indosso a lui anche il giorno stesso della sua dichiarata (dal Marchese) partenza.
Un freddo impulso della mia mente mi fece capire che quella partenza non era mai avvenuta, e notai solo allora i profondissimi graffi colorati di sangue sui muri, come se qualcuno avesse disperatamente cercato un' inesistente via di uscita nelle tenebre più totali.
Mi rivolsi verso le scale, intento a scappare lontano da quelle cripte e da quella casa, ma ecco che l'orrore più profondo prese il sopravvento: la scala a pioli era scomparsa e la botola doveva trovarsi ad almeno sei metri sopra al pavimento.
La tachicardia mi provocava un pungente dolore al torace, ma ciò non mi impedì di alzare verso l'alto la torcia, con la terrifica riverenza del suddito che sa di meritarsi la più terribile punizione dal Sovrano.
Ecco, il Marchese era affacciato alla botola, carponi sul pavimento della cripta, molti metri sopra di me.
Distinsi nel suo sguardo il puro seme della malvagità.
I più cupi abissi nebbiosi dell' Inferno senza fondo, sono scherzi in confronto alla imperiosa visione dal basso di quell'uomo (o angelo del male?), bello e crudele come l'infelicemente noto lucifero.
I lineamenti rabbiosi del suo splendente volto, erano messi in risalto dalla luce della mia torcia, con un gioco di luci regale e diabolico.
Il fumo della fiamma fluttuava attorno al tetro volto dell'uomo dell'Ade.
Oh, i suoi occhi verdi come la serpe malefica! La pazzia o il diavolo in persona? Il dolore o la cattiveria?.
Si alzò in piedi e mi puntò contro l'indice.
Parlò con suadente voce e ad ogni vocabolo pronunciato, sentii sul mio corpo il greve macignio della sentenza e la cupissima sinfonia del flagello più temuto: l'incubo.
Recitò:«Dies irae, dies illa solvet saeclum in favilla, teste David cum Sybilla. Quantus tremor est futurus, quando judex est venturus, cuncta stricte discussurus» (« Giorno d'ira, quel giorno distruggerà il mondo nel fuoco, come affermano Davide e la Sibilla. Quanto terrore ci sarà, quando verrà il giudice, per giudicare ogni cosa. »).
A nulla mi valse invocare pietà per avere scioccamente rotto i vincoli dell'amicizia: egli mi stava punendo come se sapesse che avevo agito per l'assurdo piacere di poterlo ingannare.
Forse per dare più luce alla mia agonia finale, gettò dall'alto una torcia, che illuminò subito l'angolo più lontano della stanza.
Appoggiato ad un muro che non avevo visto prima, con i vestiti laceri ed il corpo ormai putrefatto, sedeva François.
Il gelido e ferreo blocco del "Rigor Mortis", tratteneva saldamente nella sua mano una bottiglia rotta, per mezzo della quale l'amico si era tagliato la gola nella speranza di morire velocemente, e non nell'inesorabilmente lento abbandono della fame e della notte perpetua.
Rialzai gli occhi verso l'alto, e potei vedere ancora il Marchese, dietro al quale troneggiavano le tortuose scale della cantina.
Quegli scalini poco fa così ameni, erano divenuti ai miei occhi come i merli sulle tremende mura della città di Dite.
"Non sia mai detto che Eugene De Fréhel lascia i suoi più cari amici a morire di sete!", disse ridendo malvagiamente, e abbassò con sadica lentezza la botola, regalandomi le tenebre eterne, dalle quali neppure le mie urla violentissime mi distolsero, mentre le fiamme delle torcie si spegnevano con la precisione del più fine orologio.


"L'amicizia è molto più tragica dell'amore: dura più tempo"

Oscar Wilde
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[candy]
30/10/2009
Bravo Rainman, questa lettura me la sono gustata proprio volentieriemoticon
Mmmm, credo pero' che se qualcuno mi dovesse invitare a visitare la sua cantina, per un po' declinero'
l' invitoemoticon
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[barbe]
30/10/2009
emoticon
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[Reginalulu]
30/10/2009
Ho sentito il rumore e lo scricchiolio dei passi furtivi ed ansiosi che si muovono alla luce fioca della candela; ho avvertito l'odore di muffa e sentito sulla pelle l'umido della cantina.
Sento un po' di claustrofobia ora...penso di essermi un po' troppo immedesimata col magnifico racconto.
Bravissimo, il tuo stile mi piace un saccoemoticon
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[spingi]
01/12/2009
caro Rainman, proprio un bel racconto, molto ben scritto e appassionante...!
ehmemoticon ...io veramente fino all'ultimo momento ho sperato in un salvataggio del protagonista in extremis....emoticon